Quando fare è credere. I riti sacrificali dei romani
John Scheid - Laterza, 2011
La
religione romana ha una cattiva reputazione. Paragonata alle religioni
universali chiamate 'religioni del Libro', sembra non suscitare alcun
interesse. Priva dell'idea di rivelazione, di credenze e di dogmi, essa è
fatta unicamente di riti e di obblighi rituali. Questo ritualismo
spesso prosaico è stato a lungo inteso in modo sbagliato, quando non
addirittura disprezzato. E invece riti e sacrifici possono contenere un
pensiero teologico o filosofico implicito: essi mettono in scena le
gerarchie che esistono nel mondo terreno e nell'aldilà tra gli uomini e
gli dèi, tra gli dèi stessi, tra i loro partners umani. Così,
l'immolazione di un bue, l'ordine di distribuzione delle porzioni di
carne, lo stesso modo di consumarle, dicono molto sui rapporti tra gli
dèi e gli umani. Tutto questo viene dimostrato da John Scheid attraverso
l'analisi di alcuni sacrifici praticati a Roma tra il II secolo a.C. e
il III secolo d.C: quelli compiuti dalla confraternita religiosa dei
fratelli arvali, quelli che si svolgevano durante i Giochi secolari, le
prescrizioni sacrificali di Catone il Censore e, infine, i sacrifici
funerari. Questi atti sacrificali, la cui esecuzione lascia il campo
libero a tutta una serie di interpretazioni e di credenze, pongono un
problema fondamentale: quale significato può avere una religione priva
di fede?