William V. Harris
Due son le porte dei sogni
«Cominciamo nel quarto secolo d.C. in Egitto. Vi piacerebbe
comparire nei sogni altrui? Ecco cosa dovete fare. Rivolti alla lampada sul
comodino (a rigore, dovrebbe essere una lampada a olio), pronunciate le
seguenti parole: “Cheiamopsei herpeboth. Fa’ in modo che MM, la figlia di NN,
mi veda nei suoi sogni – ora, ora, presto, presto”. Aggiungete poi il vostro
messaggio personale. Ripetetelo spesso. Queste, almeno, erano le istruzioni
fornite da un papiro magico greco – espresse naturalmente con la massima serietà,
dato che non si trattava di un gioco. La lettura di questi testi ci trasporta
in un mondo che, per lo meno a uno sguardo superficiale, è completamente
estraneo ai tempi moderni. Eppure anche oggi molti sono convinti che c’è
qualcosa di significativo nel contenuto dei loro sogni, proprio come i Greci.»
Ma come è cambiata la cultura del sogno dai tempi di Omero
alla tarda Antichità? Cosa significavano i sogni? Come li leggiamo e li
interpretiamo con i nostri occhi di moderni quei sogni? Dall’Iliade ad
Aristofane, dal Vangelo di Matteo ad Agostino, William V. Harris analizza il
fenomeno del sogno nell’antichità, rintracciandone il tratto distintivo
nell’epifania di una figura autorevole, che dà istruzioni o trasmette
informazioni. Il sognatore e/o il narratore non solo rivendicano di aver
ricevuto istruzioni o informazioni da parte di enti superiori, ma con questo
sogno possono dare un senso alle azioni umane e conferire prestigio.