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mercoledì 19 marzo 2014

Sezione Dirito Privato Generale

Delle società costituite all'estero. Artt. 2507-2510

Delle società costituite all'estero. Artt. 2507-2510
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Autori . Claudio Biscaretti di Ruffia, Edoardo Gambaro

Le norme concernenti le società straniere con sede secondaria in Italia sono state modificate, rispetto a quanto indicato fin dal codice del Commercio del 1882, con la riforma codicistica del 1942. In particolare, la materia ha trovato la sua disciplina negli artt. 2505-2510 c.c. Gli artt. 2505 e 2509, contenevano una vera e propria norma di diritto internazionale privato, concernente il riconoscimento in Italia delle società straniere; altri tre articoli (gli artt. 2506, 2507 e 2508) disciplinavano gli obblighi pubblicitari a carico delle società costituite all'estero che avevano in Italia una o più sedi secondarie con rappresentanza stabile e l'ultimo articolo (l'art. 2510) prevedeva che l'esercizio di determinate attività, da parte di società con interessi stranieri, potesse essere sottoposto a particolari condizioni da parte di leggi speciali. Dopo i successivi interventi, attuati con il recepimento di direttive comunitarie nel 1968, nel 1992 e nel 1995, un ulteriore intervento sulle norme in esame è stato effettuato con la l.n. 366 del 2001 (delega al Governo per la riforma del diritto societario). In attuazione di tale delega, il Governo ha poi emanato il d.lgs. n. 6 del 2003 concernente la riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, con il quale, nel Capo XI, dedicato alle società costituite all'estero, è stato inserito il nuovo art. 2507, dedicato ai rapporti delle norme in esame con il diritto comunitario. Il principio della supremazia del diritto comunitario, nelle materie di sua competenza non ha bisogno di essere sottolineato con riferimento alle singole disposizioni. Esso è, infatti, il risultato di una lunga evoluzione della giurisprudenza costituzionale che si è progressivamente avvicinata, almeno sul piano delle conclusioni, a quella della Corte di giustizia e, oggi, è confermata anche dal nuovo art. 117 della Costituzione. Tale ultimo articolo, come è noto, nel testo introdotto dall¿art. 3 della l. cost. n. 3 del 2001, pone un limite esplicito all'azione dello Stato e delle Regioni, dato dagli obblighi assunti dall'Italia con l'adesione all'Unione europea. La dottrina si è divisa sull'interpretazione da dare alla disposizione costituzionale: taluni autori infatti hanno ritenuto che l'art. 117 non avrebbe una portata innovativa, limitandosi a riproporre l'obbligo già ricavabile dall'art. 11 della Costituzione. Altri, invece, ritengono che la norma in esame abbia inserito nella Costituzione una vera e propria European clause, così come avvenuto in altri paesi europei, che avrebbe profondamento modificato il quadro dei rapporti tra il diritto interno e il diritto dell'Unione europea. Quale che sia l'effettiva portata dell'art. 117 Cost., non vi è dubbio che la cosiddetta « pregiudiziale comunitaria » sia destinata ad influenzare fortemente l'interpretazione degli stessi. Ma vi è un ulteriore elemento da prendere in considerazione nell'analisi degli articoli del Capo XI: la loro caratteristica di norme di applicazione necessaria, ai sensi dell'art. 17, l. n. 218 del 1995. Esse, infatti, hanno quella caratteristica di «autolimitazione», cioè di individuare esse stesse il loro ambito di applicazione, che è stata individuata dalla dottrina, prima ancora che dalla giurisprudenza, per definire in tale categoria. Ciò detto, va però aggiunto che le norme qui in esame, così come le norme di applicazione necessaria degli altri Stati membri, non si sottraggono al rispetto delle disposizioni previste nei trattati comunitari. Esse, pertanto, possono operare soltanto nei limiti ristretti in cui sia possibile configurare delle eccezioni rispetto alle prescrizioni sulle libertà fondamentali previste in tali trattati.