Legalità della pena e poteri del giudice dell'esecuzione
Barbara Nacar -
CEDAM, 2017
Indice
Negli ultimi anni, il diritto vivente, nel
riscrivere le regole che disciplinano il procedimento esecutivo, ha
attribuito, al giudice che governa la fase, la legittimazione a
ripristinare la legalità della pena, pure in assenza di una espressa
previsione normativa che gli riconosca la funzione. Gli innovativi
principi, coniati in materia dalle Sezioni unite, recepiscono i dicta
provenienti dalla Corte di Strasburgo, la quale colloca la legalità
penale nell’alveo dei diritti fondamentali della persona, non derogabili
neppure in tempo di guerra o di altro pubblico pericolo che minacci la
Nazione.
Oggi, dunque, il giudice può intervenire sul
trattamento penale – oltre che nei casi indicati dal codice e in quelli
già ammessi dalla giurisprudenza più remota – quando la sanzione sia
divenuta illegale per effetto di una pronuncia della Consulta che abbia
ablato dall’Ordinamento la norma utilizzata per determinare il debito
punitivo; quando sia la stessa Corte di Strasburgo a ritenere che la
pena contrasti con i principi convenzionali; nonché qualora la
illegalità sia dovuta ad un errore commesso nel giudizio cognitivo.
Il presente studio, dunque, partendo dall’analisi delle vicende
storico-processuali che hanno indotto il Supremo consesso a tali
originali affermazioni, mira a chiarire quale sia la pena illegale
emendabile dal giudice dell’esecuzione, per trarne coerenti regole
comuni da applicare in casi non direttamente considerati dalla
giurisprudenza, sebbene riconducibili alla medesima ratio. L’operazione
è necessaria non solo per evitare soluzioni eterogenee delle prassi
giudiziarie di fronte a fattispecie omologhe; ma anche per rileggere le
disposizioni codicistiche che consentono al giudice dell’esecuzione,
sia pur in ipotesi eccezionali, di modificare la pena comminata con
sentenza divenuta irrevocabile.
Barbara Nacar -
CEDAM, 2017
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Negli ultimi anni, il diritto vivente, nel
riscrivere le regole che disciplinano il procedimento esecutivo, ha
attribuito, al giudice che governa la fase, la legittimazione a
ripristinare la legalità della pena, pure in assenza di una espressa
previsione normativa che gli riconosca la funzione. Gli innovativi
principi, coniati in materia dalle Sezioni unite, recepiscono i dicta
provenienti dalla Corte di Strasburgo, la quale colloca la legalità
penale nell’alveo dei diritti fondamentali della persona, non derogabili
neppure in tempo di guerra o di altro pubblico pericolo che minacci la
Nazione.
Oggi, dunque, il giudice può intervenire sul
trattamento penale – oltre che nei casi indicati dal codice e in quelli
già ammessi dalla giurisprudenza più remota – quando la sanzione sia
divenuta illegale per effetto di una pronuncia della Consulta che abbia
ablato dall’Ordinamento la norma utilizzata per determinare il debito
punitivo; quando sia la stessa Corte di Strasburgo a ritenere che la
pena contrasti con i principi convenzionali; nonché qualora la
illegalità sia dovuta ad un errore commesso nel giudizio cognitivo.
Il presente studio, dunque, partendo dall’analisi delle vicende
storico-processuali che hanno indotto il Supremo consesso a tali
originali affermazioni, mira a chiarire quale sia la pena illegale
emendabile dal giudice dell’esecuzione, per trarne coerenti regole
comuni da applicare in casi non direttamente considerati dalla
giurisprudenza, sebbene riconducibili alla medesima ratio. L’operazione
è necessaria non solo per evitare soluzioni eterogenee delle prassi
giudiziarie di fronte a fattispecie omologhe; ma anche per rileggere le
disposizioni codicistiche che consentono al giudice dell’esecuzione,
sia pur in ipotesi eccezionali, di modificare la pena comminata con
sentenza divenuta irrevocabile.