La conservazione dell'atto processuale penale
di
Francesco Vergine - CEDAM, 2017
Il principio di conservazione esprime una regola esegetica che si
identifica nella esigenza generale di non privare di validità ed
efficacia atti e comportamenti solo perché difettosi od oscuri, optando,
ove possibile, per il contenimento degli errori processuali, in
un'ottica di economia processuale ed efficienza del sistema. Discetta un
rapporto di proporzione fra mezzi e fini processuali, consentendo di
raggiungere l'esito del processo con il minor dispendio di energia
possibile, che non va, però, inteso quale incentivo alla "giustizia
sommaria", ma ad una celerità dei tempi processuali, garantendo,
congiuntamente, il rispristino della legalità processuale. In assenza di
una disposizione normativa di principio da parte del legislatore del
rito penale, il presente lavoro tenta di delineare i contorni del
paradigma di conservazione, nella sua duplice manifestazione, e cioè
quale canone interpretativo dell'atto giuridico, ovvero come istituto
applicativo. I tratti differenziali tra i rimedi conservativi che si
analizzeranno, renderanno evidenti i punti di contatto tra le figure di
recupero che possono intervenire nel corso del procedimento penale e le
coordinate di tale principio, a cui fare appello (ove il legislatore lo
consenta), al fine di evitare il dissipamento dell'attività giuridica e
preservare la volontà della parte che sia incappata nell'errore,
sbrigliandola dalle sicure catene di un rigido ed ingiustificabile
formalismo.