Il processo Eichmann
La cattura del tenente colonnello delle SS
Adolf Eichmann da parte di agenti segreti israeliani in Argentina nel maggio del
1960 - e il successivo processo a cui fu sottoposto a Gerusalemme da una corte
giudiziaria israeliana - elettrizzarono il mondo. Il dibattito pubblico che
suscitò riguardo a dove, a come e da chi dovessero essere giudicati i criminali
nazisti, e l'attenzione straordinaria dei media a livello internazionale, furono
un momento di svolta; un cambiamento epocale rispetto al modo in cui il mondo
civile in generale e i sopravvissuti dell'Olocausto in particolare si erano
confrontati con l'eredità di un genocidio inimmaginabile. Deborah E. Lipstadt,
storica pluripremiata, ci presenta uno sguardo a tutto tondo sul processo e
analizza il drammatico effetto che le testimonianze dei sopravvissuti - che non
avvennero senza controversie - ebbero su un mondo che fino ad allora aveva
commemorato regolarmente l'Olocausto ma non aveva compreso pienamente ciò che i
milioni di vittime che erano morte e le centinaia di migliaia che erano
sopravvissute avevano effettivamente subito. L'11 aprile 1961 il teatro di Beit
Ha'am, a Gerusalemme, era gremito. Piú di settecento persone riempivano la sala
per il processo intentato ad Adolf Eichmann, accusato di essere il principale
ufficiale operativo della «soluzione finale». I giornali di tutto il mondo
riportavano notizie sull'evento. Le reti televisive americane mandavano in onda
trasmissioni speciali. Non si trattava del primo processo per crimini di guerra
nazisti. Eppure c'erano piú giornalisti a Gerusalemme di quanti ne fossero
andati a Norimberga. Per quale motivo questo processo era diverso da quello
condotto dai tribunali di Norimberga, dove erano state processate figure molto
piú in vista della gerarchia nazista? Mentre il mondo continua a confrontarsi
ininterrottamente con la realtà del genocidio nazista e a riflettere sul destino
di coloro che sono sopravvissuti, il processo Eichmann, probabilmente il piú
clamoroso del Novecento, è divenuto una pietra di paragone per i giudizi
successivi, un'impalcatura legale, morale e giudiziaria per confrontarsi con il
male nella sua forma piú incomprensibile. Deborah E. Lipstadt riesce a
raccontarlo contemperando un'avvincente capacità narrativa con una sicura
prospettiva storiografica. Lipstadt svincola il processo Eichmann dalla
polarizzante presenza di Hannah Arendt, senza ignorarla, ma recuperando alcuni
aspetti essenziali della vicenda: da un lato il risveglio, tardivo, della
consapevolezza mondiale nei confronti dell'ampiezza della Shoah; dall'altra
l'essere un momento nodale della storia di Israele