
Nella nostra società mediatica si sta
attuando un mutamento strutturale della sfera pubblica, in cui tradizionalmente
gli intellettuali si sono mossi come pesci nell'acqua. Questa scena oggi è più
inclusiva, lo scambio si è fatto intenso come non mai in precedenza, eppure gli
intellettuali sembrano soffocare come travolti da un'overdose. L'abbondanza pare
trasformarsi in maledizione. La televisione ha cambiato la scena. Essa deve
mostrare in immagini ciò che vuoi dire, e ha accelerato la svolta dalla parola
all'immagine. Davanti alla telecamera gli attori, a qualunque titolo
contribuiscano al contenuto del programma, rappresentano se stessi. Ma la buona
fama di un intellettuale, se ne ha una, non si fonda in primo luogo sulla
notabilità o la notorietà, bensì sulla reputazione scientifica. Se interviene
con degli argomenti in un dibattito, deve potersi rivolgere a un pubblico che
non consiste di spettatori, bensì di potenziali parlanti e destinatari, che
possono render conto l'un l'altro. Si tratta idealmente di scambiare delle
ragioni, non di inscenare una concentrazione di sguardi. Il formarsi
dell'opinione e della volontà democratica ha una dimensione epistemica, perché è
in gioco anche la critica di asserzioni e valutazioni false. Vi è coinvolta una
sfera pubblica discorsivamente vitale. Per questo c'è una grande differenza tra
il confronto argomentato di pubbliche opinioni in concorrenza tra loro e i
sondaggi.