
L'università italiana, per i suoi docenti,
è il luogo dell'autonomia scientifica, della libertà didattica, della
meritocrazia e delle pari opportunità. Nessuno è vittima o artefice di rapporti
di potere. Gli scandali dei concorsi truccati e i casi di malaffare sono frutto
di atti illeciti e immorali, da combattere a suon di ricorsi amministrativi e
codici etici. Per i suoi critici, invece, l'università ricalca una sorta di
sistema feudale, governato da potenti baroni che dettano legge nei rispettivi
feudi: dalla didattica alla ricerca scientifica, dalla spartizione di risorse
pubbliche alla gestione dei rapporti con le imprese private, fino al
reclutamento degli altri docenti, da scegliere tra i loro fedeli portaborse,
attraverso consolidati meccanismi di cooptazione. Due visioni solo
apparentemente contrapposte, ma che esprimono in realtà il carattere sia formale
che informale del potere accademico. "Baroni e portaborse" mette in luce questo
sistema di potere attraverso un'analisi storica, sociologica ed economica che
sottopone a critica le concezioni stesse del potere sviluppate nelle scienze
sociali. Un'indagine a tutto campo che permette di leggere la realtà accademica
in una luce nuova e originale: non solo un problema di abusi e nepotismo
baronale, ma l'ordinario funzionamento dell'università, in cui gli interessi di
figure apparentemente contrapposte si identificano nella comune visione di
un'università asservita al capitale..